Dolore neuropatico del cane: tipologie, diagnosi e trattamento

In medicina umana è proprio il dolore uno dei motivi più comuni per cui i pazienti si rivolgono al loro medico. Il medico umano, però, parte avvantaggiato, in quanto il paziente è in grado di descrivere il suo dolore mentre il Medico Veterinario non può chiedere ai suoi pazienti se sentono dolore, egli deve essere in grado di riconoscerlo e quando si parla di dolore neuropatico questo diventa ancor più difficile.
“Il dolore è un’esperienza sensoriale ed emozionale spiacevole associata con un danno tissutale reale o potenziale o descritto come tale”
Tralasciando momentaneamente la fisiopatologia del dolore, in questo approfondimento vogliamo soffermarci su una delle classificazioni del dolore e in particolar modo sul dolore neuropatico.
Il dolore in base ai suoi CARATTERI viene suddiviso in:
•    acuto = nocicettivo
•    persistente = nocicettivo o disnocicettivo
•    cronico = non nocicettivo
Questa classificazione NON RIGUARDA LA DURATA del dolore, ma la RELAZIONE CHE IL DOLORE HA CON LA NOCICEZIONE.
Nel DOLORE ACUTO la stimolazione innocua, come quella tattile, sembra funzionale all’ omeostasi. Tali stimoli viaggiano lungo fibre nervose Ad, spesse, mielinizzate e che  raramente producono dolore, a meno che non siano sensibilizzate ad esempio dall’infiammazione o dalla neuropatia. La stimolazione nociva sembra invece funzionale alla coscienza di stimoli intensi che potrebbero danneggiare o danneggiano i tessuti ed è quindi adattativa.
La stimolazione nociva è rilevata dai nocicettori, che sono terminazioni nervose, libere nei tessuti, da fibre nervose sottili mielinizzate (Ad) o non mielinizzate (C).
Il dolore acuto quindi ha una distribuzione topografica ben precisa sia quando si presenta come dolore primario, sia quando si presenta come dolore secondario o riflesso; è di breve durata, si esaurisce quando cessa l’applicazione dello stimolo o si ripara il danno che ne è responsabile; è fisiologico e RISPONDE A MISURE ANTINOCICETTIVE.

Il DOLORE PERSISTENTE può essere nocicettivo o disnocicettivo; è causato dal persistere della nocicezione che sostiene il dolore tessutale o dai meccanismi disnocicettivi che sostengono quello neuropatico. Esso dipende dal persistere di fattori causali sicuramente organici ed è ancora presente il rapporto causa/effetto, ha una buona risposta agli analgesici e alle misure antinocicettive o nel caso di dolore neuropatico ai farmaci antidisnocicettivi (antidepressivi triciclici, anticonvulsivanti ed anestetici locali). Alcuni esempi di dolore persistente sono:
•    Dolore associato alle malattie neoplastiche
•    Dolore da osteoartrosi
•    Dolori neuropatici
Il DOLORE CRONICO non è un sintomo, come lo è invece nella forma acuta, ma una vera e propria malattia e questo principalmente perché , per finalità filogenetiche, il DOLORE ACUTO è ADATTATIVO, mentre quello CRONICO è MALADATTATIVO. Inoltre il dolore cronico comporta una RIORGANIZZAZIONE CELLULARE che coinvolge substrati neurali spinali, sottocorticali e corticali già partecipi della componente emotivo-motivazionale del dolore e che comporta l’incapacità di estinguere il ricordo del dolore e di disattivarsi transitoriamente in uno stato di “riposo cerebrale”. I circuiti neuronali centrali attivati dalla lesione algogena restano attivi anche quando tale lesione scompare, essendosi consolidati come una traccia di memoria e si ha quindi un’elaborazione spontanea del dolore .
Nel dolore cronico viene a mancare il rapporto causa/effetto e si ha una mancata risposta agli analgesici (anche  gli analgesici più potenti sono inefficaci perché il meccanismo patogenetico non è la nocicezione).
In maniera molto semplicistica ma altrettanto esplicativa il dolore neuropatico si può definire quel dolore che sussiste pur in assenza di una lesione tissutale.

NEUROFISIOLOGIA
Il dolore neuropatico è un dolore iniziato o causato da una lesione o disfunzione del sistema nervoso. Tuttavia resta ancora poco chiaro il significato di disfunzione. In alternativa il dolore neuropatico può essere definito come “dolore che si sviluppa come diretta conseguenza di malattie che interessano il sistema somatosensitivo”. Pertanto, esso risulta da un’anomala attivazione dei percorsi neuronali alla base della percezione del dolore, che deriva da un danno o da una disfunzione dei nervi periferici e delle loro radici dorsali (dolore neuropatico periferico) o del midollo spinale e dell’encefalo (dolore neuropatico centrale)
Non originando dalla normale stimolazione dei nocicettori nei tessuti periferici è considerato un dolore non nocicettivo (anche detto dolore disnocicettivo). La lesione algogena non è quindi nei tessuti periferici, ma nel sistema nervoso stesso, anche senza un danno tissutale che determina l’attivazione dei nocicettori periferici.
Un insulto algico di una certa entità e/o persistente comporta infatti l’instaurarsi di variazioni a lungo termine a carico del sistema nervoso periferico e centrale, che si rendono responsabili di una risposta esagerata dell’organismo nei confronti di ulteriori stimoli o anche in assenza di stimoli, configurando il dolore neuropatico.
Queste variazioni possono coinvolgere i nocicettori, le fibre ascendenti, i terminali centrali e le strutture sopra-midollari (neuroni talamici e corticali).

Il dolore neuropatico può persistere mesi, anni o per tutta la vita dopo l’evento che ha prodotto la lesione nervosa, anche se il danno si ripara, non è quindi ben chiaro il rapporto causa – effetto.

Il dolore neuropatico può inoltre essere suddiviso in periferico e centrale e può essere ricondotto:

•    Ad una persistente ipereccitabilità dei nocicettori, dovuta ad un mancato ritorno, dopo la risoluzione del danno tessutale, al normale livello di eccitabilità delle strutture nocicettive. In conseguenza di ciò anche stimoli innocui diventano in grado di attivare i neuroni afferenti.

•    A demielinizzazione delle fibre sensoriali (Ad), cui fa seguito rallentamento della conduzione nervosa, aumento dell’espressione lungo il decorso dell’assone di canali ionici per il sodio (responsabili della depolarizzazione del neurone) e conseguente maggior eccitabilità della fibra nervosa.

•    A ipermielinizzazione della fibra nervosa, cui consegue un prolungamento del potenziale d’azione e possibilità che lo stimolo possa procedere lungo l’assone.

•    Alla formazione di neuromi, che può verificarsi a seguito dell’ interruzione, distalmente al ganglio della radice dorsale ed in qualche punto lungo il suo decorso, della fibra nervosa (Ad e C). Quando ciò si verifica, l’organismo tenta di ripristinare la continuità dell’assone stimolando l’allungamento del moncone prossimale nel tentativo di ricongiungerlo a quello distale. Se la fibra nervosa è del tutto interrotta e se la distanza tra i due monconi è eccessiva, invece di ripristinare la continuità della fibra il moncone prossimale produce delle gemmazioni che, infiltrando i tessuti circostanti, ripiegandosi su se stesse e aggrovigliandosi producono il neuroma. Tali gemmazioni sono caratterizzate da una sovra-espressione di canali ionici e recettori adrenergici, nonché dalla possibilità di instaurare sinapsi fra fibre afferenti integre e fibre danneggiate in rigenerazione. A causa di tali processi, i neorecettori delle gemmazioni possono essere indotti a scaricare dall’attività delle fibre afferenti limitrofe.

•    Alla degenerazione dei terminali centrali delle fibre nocicettive, sempre a seguito dell’interruzione delle fibre nervose. A ciò può far seguito gemmazione a questo livello dei terminali di fibre non nocicettive (fibre Ab), che normalmente raggiungono altre aree del midollo spinale. Questa trasformazione morfofunzionale del corno dorsale del midollo spinale fa sì che le afferenze tattili e propriocettive vengano percepite come dolorose (allodii tattile).

•    A deafferentazione, cioè a lesione del primo neurone a livello del ganglio della radice dorsale (o della corrispondente struttura dei nervi cranici) o dei dendriti, vale a dire in una sede prossimale al ganglio. Una lesione nervosa del ganglio o prossimale al ganglio comporta una degenerazione dei terminali centrali e le conseguenze riportate al punto precedente.

Il dolore neuropatico centrale può far seguito a lesioni ad ogni livello del nevrasse (a livello del corno dorsale del midollo spinale, nelle vie ascendenti nel midollo spinale e nel tronco encefalico, nel talamo, nella sostanza bianca sottocorticale e/o nella corteccia), e in particolare a lesioni del sistema spinotalamico. E’ stato ipotizzato che, come conseguenza della denervazione, si riduca il numero dei GABA-recettori, e che la ridotta attività GABAergica si traduca in una iperattività glutamatergica.

In medicina veterinaria esistono numerose condizioni che possono essere associate a dolore neuropatico o addirittura essere responsabili della sua insorgenza:

– dolore neuropatico associato a traumi accidentali o chirurgici (riduzione dell’ernia inguinale o di quella perineale, fratture pelviche, intrappolamento del nervo pudendo, intrappolamento dei nervi degli arti, amputazione, lesioni lombosacrali, lesioni del midollo spinale,
– dolore neuropatico conseguente a lesioni primarie del sistema nervoso periferico
(SNP) o centrale (SNC) (neoplasie del SNP, neuropatia diabetica, poliradiculoneuriti, innervazione vascolare come causa di dolore spinale, tumori del SNC, Anomalie dello sviluppo,
– dolore neuropatico di origine viscerale (cistite interstiziale felina, Inflammatory Bowel Disease (IBD), pancreatiti e tumori pancreatici,

CLINICA

Clinicamente, il dolore neuropatico si caratterizza per il fatto di essere spontaneo (mentre il dolore nocicettivo viene evocato dalla manipolazione del tessuto dolente) , e di evocare iperalgesia o  allodinia. Avviene una caratteristica depolarizzazione spontanea del sistema nocicettivo danneggiato; la scarica spontanea generata viene trasmessa come lo stimolo nocicettivo ed è interpretata dall’organismo come dolore, riferito nei tessuti normalmente innervati dal nervo danneggiato. Altra caratteristica fondamentale del dolore neuropatico è la modificazione dell’interpretazione del segnale a livello del midollo spinale: le alterazioni riscontrate non sono solo di tipo quantitativo (iperalgesia), ma anche qualitativo (allodinia), pertanto stimoli normalmente non dolorosi sono interpretati come dolorosi.

Il segno più caratteristico del dolore neuropatico è il dolore spontaneo in assenza di danno tissutale. Negli animali ciò si manifesta con eccessiva attenzione verso la parte interessata, con leccamento continuo fino all’automutilazione. L’autotraumatismo può complicare la diagnosi perché le lesioni possono essere erroneamente interpretate come causa del dolore. Tuttavia, si nota normalmente una sproporzione tra la lesione e il dolore.

DIAGNOSI
In un soggetto che presenta dolore ma non lesioni tissutali, il sospetto diagnostico di dolore neuropatico viene in genere evocato dalla presenza di un deficit neurologico (disfunzione sensoria, motoria o simpatica). E’ spesso il neurologo ad accorgersene. L’esame neurologico completo è quindi fondamentale per confermare il sospetto diagnostico di dolore neuropatico e per localizzare la lesione del sistema nervoso all’origine del dolore.
TERAPIA
Una volta raggiunta la diagnosi, la terapia del dolore neuropatico può essere eziologica o sintomatica. In caso di lesione risolvibile chirurgicamente (es. patologia discale) il trattamento chirurgico rimane la prima scelta, mentre il dolore che accompagna alcune patologie a carattere medico migliora con il trattamento della patologia (es. diabete, cistite interstiziale, IBD).
Ai tradizionali analgesici comunemente conosciuti, quali gli oppiodi, i FANS, gli anestetici locali, ecc., nel trattamento del dolore neuropatico si aggiungono molecole che mirano a ridurre la depolarizzazione spontanea delle afferenze danneggiate (stabilizzatori di membrana, antidepressivi triciclici) e di farmaci/trattamenti che mirano a ripristinare il normale equilibrio tra inibizione e stimolazione a livello del corno dorsale del midollo spinale (antidepressivi triciclici, antagonisti del recettore NMDA, TENS, agopuntura).